Per la prima volta da quando curo questa rubrica, ho deciso di tornare per la seconda settimana di seguito sullo stesso tema, perché ritengo che quello della resilienza sia un argomento che deve essere assolutamente centrale nella nostra vita.
Non possiamo pensare di non considerarlo o di posporlo nella nostra scala delle priorità, perché più tardi impareremo cos’è davvero la resilienza, e come svilupparla, e più tardi riusciremo a mettere la nostra vita su nuovi binari che possano condurci ad un reale e concreto processo di cambiamento.
Non c’è esistenza, infatti, che prima o poi non si confronti con le difficoltà: ce ne sono e ce ne saranno di tutte le tipologie a pararsi davanti a noi, e acquisire gli strumenti per affrontare i momenti più duri è essenziale per capire come uscirne arricchiti e rafforzati.
Attenzione, non si tratta di un’iperbole: le cadute e i fallimenti possono arricchirci, non solo segnarci in maniera indelebile, basta sapere come affrontarli e gestirli.
La scorsa settimana (Resistere e rinascere più forti) abbiamo approfondito e analizzato il tema della resilienza da un punto di vista teorico e accademico: è di primaria importanza tenere ben presenti i concetti, nonché assorbirli e farli propri.
Ma c’è anche un altro aspetto che non possiamo trascurare: quello pratico.
È come quando si studia una regola algebrica e poi si svolgono dei problemi, come esercizi, per imparare ad applicare quanto imparato, perché aver acquisito la competenza dell’addizione o della sottrazione di per sé non basta.
Ed ecco che allora ci troviamo a che fare con quante mele e quante pere rimangono nei sacchetti dopo che i ragazzi hanno fatto merenda, o con quante fette di torta rimangono sul vassoio al termine della festa. Sono applicazioni di quelle nozioni che ci aiutano a formarci e ci preparano per quando nella vita reale ci capiterà di dover addizionare o sottrarre qualcosa.
Questi vengono comunemente chiamati problemi, ma potremmo definirli come esempi.
Anche nel campo della formazione personale ci sono degli esempi ai quali dobbiamo guardare, e dai quali dobbiamo lasciarci ispirare, per esercitare le nostre qualità e le nostre capacità, che così saranno pronte ad entrare efficacemente in azione nei momenti di difficoltà.
Chiaramente, quando pensiamo ad un esempio, ci direzioniamo verso qualcuno che abbia fattivamente e positivamente rappresentato il modo di risolvere una situazione che di partenza era a suo sfavore.
Ecco, quindi, che identificando il concetto di esempio nell’universo della resilienza, il nostro pensiero e la nostra attenzione non può che andare a chi ha saputo trarre da una grande problematica che ha incontrato nella propria vita, la spinta per rialzarsi ancora più forte.
Ci sono diverse categorie di personaggi ai quali credo si debba guardare quando si affronta il tema della resilienza, ma una più di tutte, a mio parere, sa lasciare in noi una traccia che possa tornare davvero utile quando la difficoltà busserà alla nostra porta.
Si tratta della categoria degli sportivi.
Non affrettiamoci a pensare che tutto questo si consumi nell’equazione che vede lo sportivo stare all’infortunio, come noi potremo stare ad un nostro problema, perché in realtà gli sportivi sono prima di tutto donne e uomini, e come tali hanno una personalità molto articolata e complessa che non può essere racchiusa in un’esemplificazione così lineare.
Ci sono storie personali ed extra sportive, che hanno cambiato la carriera di grandi sportivi, portandoli dalla condizione di atleti a quella di campioni.
L’esercizio che noi dobbiamo fare per cercare di acquisire in maniera più forte e decisa la capacità di essere resilienti, è andare a scoprire le storie di questi grandi atleti, farle nostre e tenerle nel nostro cassetto dei ricordi di prima mano, perché possano subito tornarci utili nel momento del bisogno.
Come molti di voi sapranno, ritengo che la lettura sia un importantissimo mezzo per scoprire e acquisire nuove competenze, e personalmente amo leggere molte biografie, perché è nelle pieghe delle vite di coloro che ci hanno preceduto, o di coloro che sono riusciti a realizzarsi, che possiamo trovare spunti utili per ripartire nei nostri momenti più complessi.
Questo, è un concetto che guarda caso è caro anche a molti atleti: molte volte mi è capitato di conoscere grandi sportivi che dopo aver subìto un grave infortunio, che avrebbe potuto mettere a repentaglio la loro carriera, si sono tuffati nella lettura della biografia di un personaggio famoso al quale la vita aveva posto davanti un esame molto complesso da affrontare, ma che non si era lasciato andare allo scoramento o alla depressione.
In alcuni casi si trattava addirittura di loro colleghi, magari di altre discipline, che dall’apice del successo avevano assaporato il sapore acre della polvere che ci riempie le labbra quando si cade a terra.
È interessante vedere come si ritenga che, oltre a portare avanti un percorso di riabilitazione fisica, sia di fondamentale importanza per l’atleta anche ricostruire le fratture del cuore e dell’anima, utilizzando le pagine di un libro come cura per la sfera interiore.
Si tratta di un duplice percorso che deve essere necessariamente portato avanti in contemporanea, perché se da un lato è il fisico ad essere stato lesionato, non possiamo dimenticare che tutto ciò che accade attorno a noi e su di noi, ha un eco e un contraccolpo anche dentro di noi stessi.
Questo secondo lavoro, intellettuale e interiore, è basilare perché va a rimettere a posto tutte le fratture che si creano dentro di noi e che nessun intervento chirurgico o riabilitazione fisica possono curare.
Sono ferite molto complesse da rimettere assieme, lesioni interiori per le quali servono capacità, conoscenze, ma anche grandi ispirazioni: sono questi i tre ingredienti che miscelati insieme formano quel collante unico per rimettere assieme i pezzi dentro di noi, proprio come avviene nell’antica tecnica giapponese del Kintsugi, nella quale i frammenti degli oggetti rotti vengono riuniti con una speciale pasta d’oro che ha il potere di renderli più preziosi di prima.
Quella pasta d’oro, nella nostra vita, si chiama resilienza, e per conoscere come applicarla in modo performante dobbiamo guardare a chi ha saputo brillare ancor di più dopo essersi rotto in mille pezzi, andando a leggere e a documentarci sulle loro vite, cercando di scendere quanto più possibile all’interno delle loro esistenze.
Pensando a grandi sportivi che si sono rialzati più forti di prima quando il destino ha provato a metterli al tappeto definitivamente, mi viene in mente, ad esempio, la storia di Gianmarco Tamberi.
Guardiamo il film della sua vita, e della sua carriera sportiva, partendo dall’ultima diapositiva e riavvolgendo pian piano il nastro all’indietro.
Proprio pochi giorni fa, il CONI ha annunciato che Tamberi sarà, insieme ad Arianna Errigo, il portabandiera dell’Italia ai Giochi Olimpici che si svolgeranno quest’estate a Parigi.
Portare la bandiera del proprio paese nella cerimonia di apertura della più importante manifestazione sportiva al mondo, è il riconoscimento più alto che viene concesso ad un atleta che ha saputo dare lustro al nome della propria nazione grazie ai suoi risultati sportivi.
In altre parole, Tamberi porterà il tricolore perché è universalmente riconosciuto come simbolo dell’Italia che vince nel campo dello sport.
Ma come è arrivato a questo importante traguardo?
Tutti ci ricordiamo (e chi non lo ricorda dovrebbe andare a ricercare il video di quella gara per rivivere quella pagina di storia) l’emozionante finale del salto in alto alle Olimpiadi di Tokyo del 1 agosto 2021, nella quale Tamberi vinse la medaglia d’oro in ex aequo con il qatariota Barshim, dopo aver entrambi saltato la misura di 2 metri e 37 centimetri.
Un momento storico, nel quale il risultato sportivo si fonde con quello umano, per aver deciso liberamente di condividere la medaglia d’oro olimpica con il proprio avversario.
Ma com’era arrivato Tamberi a quell’edizione dei Giochi Olimpici?
Se riavvolgiamo il nastro di cinque anni, fino al 2016, anno delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, scopriamo che Gimbo, nonostante all’epoca avesse 24 anni appena compiuti e fosse nel pieno della sua carriera sportiva, a quell’edizione dei Giochi non ha preso mai parte. Perché?
Pochi giorni prima di salire sull’aereo che lo avrebbe portato in Brasile, durante il Meeting Internazionale del Principato di Monaco, nona tappa della Diamond League di quell’anno, dopo aver migliorato il record italiano facendo registrare la misura di 2 metri e 39 centimetri, nonostante avesse già vinto quella gara, Tamberi prova a far segnare anche il record del mondo, tentando la misura di 2,41 metri.
Al secondo tentativo, però, durante la fase di rincorsa e stacco, si infortuna gravemente alla caviglia sinistra: si tratta di un problema che gli impedirà di partecipare alle Olimpiadi di Rio, e di farlo a 24 anni, nel pieno della sua carriera, e con un biglietto da visita da 2,39 metri che lo proiettava verso il podio finale.
Molti altri atleti sarebbero crollati mentalmente a terra senza mai rialzarsi: qualcuno ci avrebbe provato, ma poi chissà come avrebbe reagito a un altro duro colpo, quello del rinvio dell’edizione di Tokyo dal 2020 al 2021 a causa della pandemia, con tutto quello che ne può conseguire in termini di tabelle di preparazione atletica e in termini fisici, visto che la carta d’identità segna un anno in più.
Gianmarco Tamberi non si è fatto lasciato andare, ha lavorato duro per cinque anni, ricostruendo il corpo e la mente, la caviglia e l’anima, per tornare più forte di prima.
Quell’infortunio che nel 2016 lo aveva fermato, gli ha dato la capacità di essere ancora più determinato nella ricerca di quel risultato che voleva raggiungere: l’oro olimpico.
E la vittoria di Tokyo lo ha proiettato non solo nell’Olimpo degli sportivi, ma lo ha indirizzato verso la vittoria del Campionato Mondiale del 2023, suggello che, con ogni probabilità, ha contributo a fargli raggiungere la chiamata quale portabandiera dell’Italia a Parigi.
Si può non prendere ispirazione da storie come questa? Assolutamente no!
Così come non si può non tener conto di decine di altre storie sportive che possono essere per noi l’esempio nel quale riconoscere le modalità con le quali applicare la nostra capacità di essere resilienti.
E proprio come ha fatto Tamberi, utilizzare la resilienza come la pasta d’oro che sappia renderci più preziosi dopo che la nostra vita, fisica e psicologica, ha subìto una frattura.
Credo così tanto in questo concetto, che sarà uno dei punti cardine dell’incontro che si svolgerà a Latina lunedì 20 maggio: si tratta del quarto appuntamento dell’Academy “Comunicazione Vincente”, l’innovativo percorso di formazione che ho studiato personalmente, e che finora ha aiutato centinaia di persone a guardare con occhi diversi la propria realtà, per adottare scelte più consapevoli e positive.
Si parlerà di resilienza, e lo si farà approfondendo la forza che la letteratura e lo sport possono avere nello sviluppo di questa fondamentale capacità.
Non privarti della possibilità di diventare la versione migliore di te stesso.
Il prossimo appuntamento sarà lunedì 20 maggio [email protected] per maggiori informazioni, prenotazioni.