Quella che vi sto per raccontare è una parte reale della mia vita, della mia storia umana e professionale.
Siamo cresciuti, e utilizzando il plurale intendendo la mia generazione, credendo nel falso mito per il quale più tempo si trascorre lavorando e più denaro si guadagna.
Se volessimo sintetizzarlo potremmo dire che “più lavoro e più guadagno”.
Io per primo avevo strutturato la mia vita incentrando una gran parte delle mie ore di veglia attorno alla mia attività professionale: sono arrivato ad affrontare, per un lungo periodo della mia esistenza, giornate nelle quali lavoravo dalle quattordici alle sedici ore, molto spesso consecutive.
E questo si ripeteva costantemente, un giorno dopo l’altro.
È stato un momento estremamente faticoso, nel quale ho esposto il mio corpo e la mia mente ad un grandissimo sforzo fisico e psicologico. In quel periodo, addirittura, lavoravo anche il fine settimana, e lo facevo programmando giornate lavorative intense, nelle quali non riuscivo a ritagliare del tempo da poter dedicare a me stesso.
Poi, alcuni anni fa, durante una delle mie tante letture, mi sono imbattuto per la prima volta nel concetto dell’80/20, teorizzato dall’economista e sociologo Vilfredo Pareto.
Questo concetto stabilisce come l’80% della produzione è generata dal 20% dei compiti svolti. Un altro modo per esprimere questo concetto è che l’80% dei risultati deriva dal 20% dello sforzo e del tempo impiegato, o, ancora, che l’80% delle conseguenze è prodotto dal 20% delle cause.Apprendere questo dato mi ha sconvolto profondamente, perché questa teoria scardinava completamente il modus operandi del “più lavoro e più guadagno” sul quale avevo edificato tutta la mia vita, non solo professionale ma anche personale, perché la scelta di dedicare la maggior parte del mio tempo al lavoro aveva di fatto influenzato, in maniera più o meno diretta, anche la sfera più privata della mia esistenza.
Mi resi conto che l’errore per il quale mi ero affidato al dogma del “più lavoro e più guadagno” era stato commesso perché non avevo mai tenuto in giusta considerazione due concetti fondamentali sui quali si poggia la nostra vita: quello di efficacia e quello di efficienza.
Che cosa sono queste due componenti?
Possiamo definire l’efficacia come la capacità di fare le cose che ci avvicinano agli obiettivi, mentre l’efficienza come la capacità di eseguire un determinato compito nella maniera più economica possibile.
Entrambi riguardano il concetto più ampio di risultato e di produttività, ma con due sfaccettature di significato, e di applicazione, diverse.
Essere efficienti senza preoccuparsi dell’efficacia è ciò che ci porta inevitabilmente a commettere degli errori.
Per essere produttivi, ma soprattutto felici, dobbiamo conoscere due grandi verità: la prima è che fare bene una cosa poco importante non la rende di conseguenza importante; la seconda è che anche impiegare tanto tempo per svolgere un compito poco importante non lo rende di fatto importante.
Se un lavoro non è importante, non lo diventerà anche se gli avremo dedicato tutto il nostro tempo e tutta la nostra attenzione: avremo solo impiegato le nostre risorse in un’attività che di fatto non era per noi primaria.
Ecco, quindi, che in tutto quello che facciamo nella nostra vita dobbiamo tenere sempre a mente un concetto fondamentale: ciò che facciamo è infinitamente più importante di come lo facciamo.
Applicare l’efficienza in ambiti o in compiti che non rivestono per noi alcuna importanza rappresenta cimentarsi in un’attività assolutamente inutile.
Ma, a questo, ci sono arrivato in seguito.
Sì, perché dopo aver letto la teoria di Pareto ho iniziato ad analizzare il mio lavoro e la mia vita privata alla luce di quel nuovo concetto appreso, e ho iniziato a pormi due domande centrali: qual è il 20% delle fonti che causa l’80 % dei miei problemi di infelicità? E qual è il 20% delle fonti che produce l’80% della mia felicità?
Perché ancor prima che pensare a come essere maggiormente produttivi, dobbiamo porci di fronte alla questione che fa da fondamento a tutta la nostra vita: come possiamo essere davvero felici?
Trascorsi un’intera settimana cercando di trovare una risposta a queste domande, e una volta individuata arrivai a prendere delle decisioni drastiche: si trattava di accorgimenti semplici da un punto di vista tecnico, ma molto complessi sotto l’aspetto emotivo, che però cambiarono letteralmente per sempre la mia vita e resero davvero possibile adottare lo stile di vita di cui godo oggi.
Il risultato di quei ragionamenti non fu solo la scintilla che mi portò ad attuare alcuni determinati cambiamenti alla mia esistenza, ma anche ad arrivare ad un’importante presa di coscienza: la maggior parte delle cose di cui ci occupiamo non fa la differenza.
È stato ancora una volta sconvolgente capire anche questo aspetto, così come interiorizzare che essere indaffarati è una forma di pensiero pigro e di azione indiscriminata.
Abbiamo sempre creduto che avere la nostra agenda piena di appuntamenti da svolgere, di call da fare, di scadenze da rispettare, fosse la bilancia con la quale misurare il nostro grado di operosità e quindi di successo.
Niente di più falso.
Essere sovraccarichi di impegni è invece spesso altrettanto improduttivo che non fare nulla, e anzi è addirittura molto più spiacevole. Perché nonostante si conduca la propria esistenza con il fiatone e con i dolori che sono tipici degli ultra-maratoneti, se ci girassimo periodicamente a guardare quanta strada abbiamo fatto, ci accorgeremmo di esserci mossi solo pochi passi. O addirittura solo pochi centimetri rispetto al punto di partenza.
Eppure abbiamo attraversato la città centinaia di volte per andare ad incontrare persone che ritenevamo importanti per la nostra vita e la nostra carriera, così come abbiamo ricaricato migliaia di volte la batteria del nostro smartphone perché sempre in funzione tra telefonate, email e chat.
Ma il problema sta proprio nella quantità, oltre che nella qualità di ciò che facciamo.
Per essere davvero produttivi bisogna essere selettivi.
E per essere davvero felici bisogna saper scegliere a chi o a cosa dedicare il nostro tempo e le nostre energie.
Mi sono reso conto che è più facile rimanere sepolti sotto un cumulo di impegni che cercare davvero di scremare quello che è indispensabile da ciò che non lo è.
La chiave per non sentirsi trascinati in questo vortice nel quale non percepiamo più di essere padroni del nostro tempo e del nostro destino, e che sembra risucchiarci sempre più verso il fondo, è quella di ricordare che la mancanza di tempo in realtà non è altro che una mancanza di scelta di priorità.
Se oggi non riesco a dedicare un’ora del mio tempo di qualità a me stesso, alle mie passioni, o alla mia famiglia, è perché nei giorni scorsi non ho saputo fare una selezione di quelli che devono essere i miei impegni.
Pensiamo ad un albero adulto, al quale per molti anni non si dedica una seria e mirata attività di potatura: questo sarebbe destinato a produrre meno frutti di quanti ne potrebbe donare se i suoi rami venissero scelti e tagliati con cura. Le piccole diramazioni legnose che non porterebbero nulla resterebbero lì solo a togliere linfa e nutrimento alle ramificazioni più strutturate che invece potrebbero portarne in quantità.
Ma proprio come davanti ad un albero la soluzione non è tagliare alla base il tronco e abbatterlo, ma guardare con attenzione i rami da recidere, così anche per la nostra vita tutto non si può ridurre al fare tabula rasa di quel che siamo stati fino a ieri: bisogna saper fare un passo indietro per guardare la nostra esistenza da un angolo differente, e capire in quali settori andare ad intervenire, alleggerendo i nostri impegni.
Io per farlo presi un foglio e iniziai a scrivere quello che veramente volevo per me e per la mia vita.
In quell’istante mi ricordai che in un corso sulla gestione del tempo fatto anni prima, mi avevano consigliato di dividere un foglio in tre parti uguali, in ciascuna delle quali avrei dovuto annotare i miei obiettivi, suddividendoli in tre categorie ben specifiche: nella prima gli obiettivi a breve termine, quelli che avrei voluto raggiungere entro i sei mesi da quel giorno; nella seconda gli obiettivi a medio termine, per i quali avrei potuto impiegare fino ad un anno e mezzo; nell’ultima gli obiettivi a lungo termine, quelli che avrebbero richiesto fino a cinque anni.
Scrissi sul mio foglio le mie liste di obiettivi, e cercai di fissarli attentamente dentro di me: la prima regola per non tornare a perdersi nei meandri di falsi impegni è quella di sapere sempre dove si sta andando.
Devo confessare che lo scetticismo iniziale che accompagnò i primi passi di questo nuovo percorso venne cancellato dalla capacità di raggiungere i traguardi che mi ero prefissato: quella di darsi degli obiettivi differenziati su tre diverse scale temporali non era un placebo per una mente stanca, ma una strategia vincente per rimanere sempre concentrato su ciò che mi stava più a cuore.
Quel foglio divenne la mia bussola, da consultare nel caso il mare della vita diventasse grosso e io sentissi di non avere più così chiara la rotta da seguire.
Capii come gli obiettivi sono delle sfide che richiedono un’azione e ci rendono “misurabili”: avere degli obiettivi significa orientare le forze del subconscio verso ciò che si desidera, e questo aiuta inevitabilmente a raggiungere il risultato.
Per farlo in maniera davvero efficace, però, bisogna sempre tener conto che l’obiettivo che ci si vuole prefissare deve essere chiaro e definito, per non rischiare di perdersi dietro a delle sfaccettature che possano fungere da diversivo prima e da giustificazione poi.
Un altro elemento importante è quello di definire con puntualità il tempo in cui lo si vuole raggiungere, per non sottostimare risultati che necessitano di un periodo più lungo per essere centrati: questo farà sì che daremo ad ogni punto della nostra lista il giusto tempo, così da non rischiare di mancare il risultato, e non cadere quindi nella frustrazione per non aver raggiunto quanto desideravamo.
Ultimo, ma non certo per importanza, la definizione della quantità e della dimensione di quello stesso obiettivo: banalmente non basta dire “tra un anno vorrei guadagnare di più di quanto non guadagni oggi”, ma dare una dimensione tutto questo. Di quanto stiamo parlando? Del 20%? Del 30%? Del doppio? È un elemento che deve essere sempre ben chiaro e definito.
Ma attenzione, perché avere una lista di obiettivi da raggiungere può voler dire anche essere eccessivamente proiettati verso il futuro perdendo d’occhio il presente: è fondamentale, invece, festeggiare ogni qual volta si riesce a tagliare un traguardo, perché questo vuol dire che si sono fatti dei passi avanti rispetto al nostro punto di partenza iniziale.
Non solo: questo ci darà la ferma convinzione di poter conseguire gli altri risultati desiderati.
Perché con una giusta selezione dei nostri impegni, e con un’attenta definizione dei nostri obiettivi, nulla ci è precluso.
Possiamo vivere la nostra vita raggiungendo la produttività che abbiamo sempre desiderato, senza dover rinunciare alla felicità che abbiamo sempre sognato. E che ci meritiamo.
Scrivimi qui [email protected] per maggiori informazioni o per un confronto con me