Cambiare.
Una verbo, otto lettere, che ci siamo ripetuti e sentiti ripete nella nostra vita centinaia e centinaia di volte.
Un concetto del quale spesso si tende ad abusare: cambiare uno o più aspetti della propria vita equivale, nei nostri pensieri, a dare una sferzata a tutto ciò che non ci piace, e che magari ci circonda, e ci tieni avviluppati come una nebbia fitta.
E allora diventiamo desiderosi di cambiare lavoro, di cambiare città, vita, modo di pensare e modo di guardare al futuro. Vorremmo cambiare tutto ciò che non ci piace e che non ci soddisfa, e per farlo siamo pronti a cambiare nel profondo anche noi stessi.
Siamo propensi a guardare al cambiamento come alla porta che immaginiamo possa proiettarci in una dimensione nuova, più felice, ma soprattutto più appagante. Ed ecco che allora ci impegniamo a cambiare, impiegando tutte le energie a nostra disposizione, per raggiungere finalmente quella condizione che tanto desideriamo.
Ma abbiamo realmente contezza di cosa voglia dire iniziare un percorso di cambiamento? E che cosa può significare per la parte più interna del nostro io?
Sì, perché spesso ci concentriamo troppo su quello che è il lato esteriore, l’apparenza, quello che risulta visibile agli occhi nostri e di chi ci sta attorno: ed ecco che cambiamo auto, acquistandone una nuova e magari molto differente dalla precedente, cambiamo taglio di capelli, ci mettiamo a dieta, per togliere qualche chilo di troppo e rendere un’immagine di noi più felice e più vincente.
Intraprendere un percorso di cambiamento, però, non è mai semplice o scontato: ci sono molteplici fattori da dover tenere necessariamente in considerazione, perché quando di cambia si innesta un cambiamento i risultati e i contraccolpi possono essere ben più pesanti di quanto si possa immaginare. Soprattutto bisogna capire l’importanza di prepararsi ad accettare quelle che saranno le novità che il cambiamento porterà con sé: un dettaglio che non va assolutamente sottovalutato, per far sì che il tanto agognato mutamento possa diventare un’oasi di felicità dove vivere e non una gabbia nella quale sentirsi intrappolati.
Sì, perché il cambiamento, per quanto desiderato e sovraccaricato di aspettative, non è sempre ben accetto, e questo dipende dalle nostre inclinazioni personali, dalla nostra capacità di adattamento e dalla voglia che abbiamo realmente di sperimentare qualcosa di nuovo, accogliendolo senza respingerlo. Ma andiamo per gradi.
Prima di tutto dobbiamo capire cos’è davvero il cambiamento: stando alla definizione condivisa dalla letteratura, è un processo di trasformazione che può riguardare molte aree della vita, come quella personale, professionale, sociale e anche culturale. Il cambiamento in quanto tale può determinare delle modifiche nei comportamenti, nei pensieri, nei valori, nella personalità o nell’ambiente, a seconda dell’area in cui si verifica.
È bene tenere a mente questi concetti, perché una volta iniziato un percorso di cambiamento dovremmo cominciare a dimenticare la vecchia idea che avevamo di noi stessi, per iniziare a familiarizzare con una nuova visione di noi.
Dovremo anche iniziare ad entrare nell’ottica che una delle difficoltà connesse al cambiamento non è tanto nel processo di evoluzione degli aspetti che desideriamo modificare, ma nella capacità di uscire fuori dalla nostra comfort zone, lasciando dietro di noi tutti i vecchi modelli di pensiero che hanno caratterizzato il nostro passato.
Non basta cambiare auto o taglio di capelli, quindi, ma è necessario smuovere la nostra più intima identità, perché si possa compiere un cambiamento che porti risultati duraturi e appaganti per noi.
Dobbiamo, quindi, essere lucidi e concentrati sull’oggetto e sulla finalità del nostro cambiamento, ricordandoci sempre di essere aperti e flessibili, per garantire a noi stessi una buona capacità di adattamento al futuro: essere rigidi e integralisti nei nostri confronti, e nei confronti del percorso intrapreso, può essere non solo controproducente, ma addirittura deleterio. Meglio, invece, armarsi di molta pazienza e tenere sempre ben a mente che per cambiare noi stessi e il nostro modo di vivere, occorra una grande dose di tempo e di energie da spendere.
Il concetto di cambiamento è stato trattato da molte discipline, tra le quali psicologia, sociologia, antropologia e management.
In psicologia il cambiamento è stato affrontato da teorie come la psicologia umanistica di Carl Rogers e la psicoterapia cognitivo-comportamentale di Aaron Beck. Nel campo della sociologia, il cambiamento sociale è stato studiato da teorici come Émile Durkheim e Max Weber. Nel management il cambiamento organizzativo è stato affrontato da teorie come la gestione del cambiamento di Lewin e la teoria dell’adattamento di Kotter.
Filosofi come Eraclito e Nietzsche hanno espresso la loro visione del cambiamento come una parte intrinseca della vita e dell’esperienza umana: cambiare è un processo legato alla nostra esistenza, nella quale tutto ciò che accade porta inevitabilmente a modificare qualcosa di noi stessi.
Teniamo sempre ben a mente che se nel corso dei secoli illustri pensatori, filosofi e psicologi hanno posto la loro attenzione sul concetto di cambiamento, è perché questo non rappresenta solo uno dei desideri più palpitanti che può animare l’uomo, ma anche uno dei processi più difficili da attuare e da analizzare.
A volte, capita che anche senza accorgersene cambiamo giorno dopo giorno: quel tipo di cambiamento non è una mutazione finalizzata al miglioramento oggettivo, ma solo un processo di reazione del corpo e della mente alle esperienze vissute.
Come detto, uno degli aspetti più complessi legati al cambiamento è quello dell’accettazione: spesso, infatti, cambiare comporta il doversi confrontare con incertezze e incognite, e questo per molte persone può rappresentare un fattore inquietante. Ai quesiti su quello che ci riserverà il futuro dopo che si sia compiuto il cambiamento, si aggiunge la paura di dover abbandonare la routine e le abitudini che rappresentano un elemento di conforto, soprattutto nei momenti più difficili. Questi, sono tutti schemi mentali e sociali sui quali abbiamo fondato la nostra vita, e che, venendo riscritti secondo un nuovo codice di programmazione dettato dal cambiamento, possono generare un rigetto: ciò che abbiamo a lungo desiderato può apparire come di difficile comprensione e assimilazione. Eppure l’idea che avevamo cullato del nostro nuovo “io” appariva ai nostri occhi così positiva e appagante.
C’è poi un aspetto legato strettamente al mancato raggiungimento dell’obiettivo prefissato: è la paura del fallimento. Si tratta di un passaggio nel quale prima o poi tutti si trovano a dover transitare, perché il rischio di fallire o di non riuscire a raggiungere le proprie aspettative è una delle paure più comuni. Questo timore legato a doppio filo con il fallimento: da una parte c’è un legame molto intimo con il pensiero di non riuscire a raggiungere le propria felicità, deludendo così noi stessi, e dall’altra c’è l’inquietudine per ciò che un eventuale fallimento può far scaturire in coloro che ci sono attorno.
La resistenza al cambiamento può anche essere legata a preoccupazioni di tipo finanziario, come la perdita del lavoro o la riduzione del reddito, o più semplicemente perché si è attaccati a vecchi modelli che si ha difficoltà ad abbandonare.
Ma, una delle ragioni per la quale l’accettazione del cambiamento può risultare difficile, è la paura che questo possa minacciare la nostra identità, andando a modificare l’immagine di noi stessi che ciascuna persona ha sviluppato nel corso del tempo.
Tutte le difficoltà sopra descritte sono passaggi più che normali all’interno di un percorso di cambiamento: per riuscire a superarle, e per accettare il risultato finale, può essere utile sviluppare una mentalità positiva e flessibile, esplorando quelle che sono le nostre paure e le nostre incertezze, e cercando supporto in amici e familiari.
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