Nella mattinata di oggi, lunedì 18 maggio, la Polizia di Terracina ha dato esecuzione a 2 misure cautelari emesse a carico di due congiunti, T. F., 52enne, e T. D. 22enne, rispettivamente padre e figlio, entrambi terracinesi titolari di un’azienda agricola del luogo.
I reati contestati in concorso ad entrambi sono quelli di estorsione, rapina, lesioni personali aggravate, il tutto nell’ambito dello sfruttamento del lavoro, (cosiddetto caporalato), consumatosi all’interno della loro azienda agricola a carico di braccianti agricoli stranieri.
Le indagini hanno avuto inizio a seguito dell’accesso al pronto soccorso dell’ospedale di Terracina di un 33enne di origini indiane che presentava lesioni personali che, per tipologia ed entità, erano state oggetto dei primi accertamenti. Nello specifico l’uomo presentava ferite al capo riconducibili a corpo contundente con perdita di conoscenza, fratture ed altre lesioni personali erano presenti in altre parti del corpo. Grazie alle prime informazioni assunte dalla vittima veniva individuato il luogo in cui il malcapitato era stato oggetto di un’aggressione da parte dei suoi datori di lavoro.
Le cause scatenanti dell’efferato atto erano riconducibili alle continue richieste del bracciante circa la dotazione di D.P.I. (Dispositivi di protezione individuali) che il predetto, al pari di altri colleghi connazionali, chiedeva con insistenza in piena emergenza causata dalla pandemia da COVID-19. Le richieste non furono accolte ed il bracciante venne licenziato in quanto non costituiva un buon esempio per gli altri connazionali.
Il giovane, in estremo stato di necessità, nei giorni successivi tornava in azienda chiedendo almeno il pagamento delle 11 giornate di lavoro prestato nel mese corrente ma riceveva dapprima frasi ingiuriose e minacce ed infine l’agguato che, premeditato, scattava quando il cittadino indiano, desolato, era già sulla via del ritorno. L’uomo veniva raggiunto e fatto oggetto di bastonate, calci e pugni ed infine gettato in un canale di scolo adiacente la strada.
Le indagini, avviate nell’immediatezza, consentivano di raccogliere utili elementi di riscontro al racconto della vittima e successivamente in occasione di una perquisizione eseguita all’interno dell’azienda agricola veniva rinvenuto il bastone utilizzato per il pestaggio.
Al contempo nello stesso contesto gli agenti, avendo cinturato l’intero appezzamento di terreno, avevano identificato tutti i braccianti agricoli che nella totalità erano di origini straniere e con l’ausilio di interpreti e grazie a mirati accertamenti contabili rilevavano lo sfruttamento economico e le condizioni di lavoro difformi alle norme in materia di sicurezza e sanitaria. Durante il controllo in piena emergenza da COVID-19 furono infatti accertate gravi carenze come i servizi igienici e la mancanza di idonei luoghi da adibire a mensa e alla pausa dei braccianti.
La copiosa documentazione acquisita e le risultanze delle indagini evidenziavano che i braccianti agricoli erano sottoposti alla reiterata violazione dell’orario di lavoro, dei riposi, delle ferie e dei congedi per malattia.
Gli stessi inoltre erano costretti a lavorare anche 12 ore al giorno, ciascun giorno della settimana, senza fruire di alcuna giornata di riposo o festiva, tantomeno di congedi per malattia. La paga oraria era di 4 euro per ogni ora di lavoro senza alcuna maggiorazione per il lavoro prestato nei giorni festivi. Mentre per eludere i controlli venivano contabilizzati in busta paga circa un terzo delle giornate lavorate.
All’atto del controllo nessuno dei braccianti indossava i dispositivi a tutela della normativa di sicurezza e dell’igiene, privi di scarpe antinfortunistiche ma anche di guanti e soprattutto delle mascherine per evitare i contagi da COVID-19 che gli operanti nel corso della perquisizione rinvenivano all’interno delle abitazioni degli indagati i quali, evidentemente, non avevano ritenuto di distribuirle ai loro dipendenti.
Il tutto pertanto consentiva di acclarare, oltre a quanto già appurato, anche il reato di caporalato che è stato contestato agli stessi indagati.
Per T. F., stanti anche precedenti specifici, il G.I.P. disponeva la misura personale coercitiva degli arresti domiciliari mentre per il figlio è stata disposta la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla P.G.