La tragica vicenda di Andrea Carnevale, raccontata in un’intervista alla Stampa, offre una profonda riflessione su come eventi drammatici possano influenzare la vita di una persona, segnando indelebilmente il suo percorso. Carnevale, ex calciatore e oggi dirigente sportivo, ha rivelato la storia dolorosa del suo passato, un’esperienza che riecheggia quella recente di Nuoro, dove un padre ha ucciso la sua famiglia.
Il parallelo tra le due vicende è straziante: anche Carnevale, a soli 14 anni e mezzo, ha vissuto l’orrore di vedere suo padre uccidere la madre con un’accetta nei pressi di un fiume tra Monte San Biagio, il paese natale del calciatore, e Fondi. Un episodio che avrebbe potuto spezzarlo, ma che, come racconta, lo ha spinto a non arrendersi. È evidente come i segnali di disagio mentale del padre fossero presenti, ma, come accade spesso, non si è riusciti a intervenire in tempo. Le autorità non si muovevano senza evidenti prove di violenza, una dinamica che purtroppo si ripete in molte situazioni di oggi.
Carnevale, nonostante la tragedia, è riuscito a canalizzare il dolore e la rabbia in una determinazione che lo ha portato a realizzare il suo sogno di diventare calciatore. Il suo messaggio ai giovani che si trovano in situazioni simili è un invito alla resistenza, nonostante le difficoltà: anche se la strada è dura, la forza interiore può essere un motore per andare avanti.
«Una mattina mio padre si è svegliato, ha preso l’accetta ed è andato ad ammazzare mia madre mentre stava lavando i panni al fiume vicino casa – ha raccontato l’ex calciatore pontino – Una delle mie sorelle era presente, io stavo giocando a pallone lì vicino. Ho raccolto il cervello di mia mamma nel fiume e l’ho portato alla caserma: ‘Hai visto che poi è successo?’, ho detto al maresciallo. ‘Quante volte sono venuto qui, adesso il sangue lo vedi’. Oggi però non ho rancore per nessuno: mio padre era un uomo malato che non è stato curato.
I segnali c’erano tutti perché mio padre, che era tornato a casa dopo un anno passato a lavorare in Germania come operaio nelle ferrovie, ha cominciato a mostrarsi sempre più strano e spaesato, e poi a picchiare nostra madre davanti a noi, anche mentre cenavamo insieme la sera. Poteva farlo in qualsiasi momento. Andai dai carabinieri più volte per sentirmi dire che se non vedevano il sangue non potevano farci niente… A casa c’era sempre un clima di terrore, perché da un momento all’altro diventava violento, soprattutto verso mia mamma, che subiva questi scatti d’ira. Per anni mia madre ha preso schiaffi e botte davanti a noi.
Era un paese piccolo, c’era senso di vergogna, oltre alla paura di mia madre che mio padre venisse a saperlo. Si teneva un po’ tutto nascosto. Mia mamma era una donna per bene, ma mio padre si era fissato con l’idea che lo tradisse, una pazzia che si verifica anche oggi. Eppure il maresciallo, in caserma, fu capace di dire che finché non vedeva il sangue non poteva intervenire. La tragedia non mi ha spezzato, ho chiuso dolore e rabbia dentro un forziere e li ho usati per darmi forza».