Le scene sono descritte per centinaia e centinaia di pagine nell’ordinanza di custodia cautelare contro i ventisei tra agenti e funzionari di polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere arrestati lunedì con l’accusa di tortura nei confronti dei detenuti per i pestaggi avvenuti il 6 aprile del 2020 nel reparto Nilo dell’istituto di pena, all’indomani di una protesta dei reclusi che chiedevano dispositivi di protezione contro il Covid. Il gip riporta tutti gli episodi che le indagini dei carabinieri e della Procura di Santa Maria hanno ricostruito. Ma nessuna descrizione, per quanto dettagliata e inevitabilmente cruda, può avere l’orribile impatto dei video registrati dalle telecamere di sorveglianza interna del carcere. Telecamere che quel giorno, nell’evidente certezza delle propria impunità , gli agenti lasciarono accese, salvo poi tentare (inutilmente) di manometterle quando cominciarono le indagini e prima che gli inquirenti acquisissero i filmati.
Il quotidiano Domani ha pubblicato sul proprio sito web quei video, e sin dal primo frame appare in tutta la sua ferocia quella «orribile mattanza indegna di un Paese civile» di cui parla il gip nella misura cautelare.
Ci sono agenti penitenziari in tenuta anti-sommossa che appartengono al Gruppo di supporto agli interventi, una struttura alle dipendenze del provveditore regionale del Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia) che il 6 aprile 2020 viene mobilitata a sostegno del personale del carcere di Santa Maria. Picchiano forte, questi venuti da fuori, soprattutto con i manganelli, ma nonostante le immagini non è stato possibile individuare le responsabilità personali di nessuno di essi, perché i detenuti non li conoscevano e non hanno saputo riconoscerli, anche perché avevano il volto protetto dai caschi.
Ma i manganelli li impugnano anche gli agenti interni, e chi ne è sprovvisto usa pugni, calci, schiaffi. O ginocchiate. Qualcuno si limita a colpire i detenuti che gli passano davanti, altri invece si accaniscono anche di più.
Tra i detenuti picchiati c’è anche Marco Ranieri, noto pregiudicato del capoluogo pontino, al quale verrà diagnosticato un grave «disturbo da stress acuto derivante dalle condotte violente» subite.
Lo buttano a terra e lo picchiano «con colpi alla testa, alla schiena, alle costole, al bacino e al volto, sferrati con il manganello e con una sedia di legno». E ancora «nei pressi del cancello d’ ingresso del reparto Danubio (dove ci sono le celle di isolamento, ndr ) lo afferravano con forza, gli facevano sbattere più volte la testa contro il muro e gli sferravano, con il manganello, un violento colpo al volto causandogli la rottura di un dente e la perdita dei sensi».