Gianrico Carofiglio è uno degli scrittori italiani contemporanei più famosi e a molti di voi titoli come Testimone inconsapevole e Ad occhi chiusi non suoneranno del tutto nuovi.
Ho consigliato questa sua ultima fatica proprio nel post dedicato alle idee per Natale, ed è finito, inevitabilmente, nella mia lista dei desideri.
Acquistato in un Autogrill, lungo l’autostrada che mi portava a Siena, soprattutto per la curiosità che il titolo e la veste grafica ( ancora un volta curata da Francesca Leoneschi per Rizzoli), mi suscitava.
Il libro è diviso in due parti; la prima prende lo spunto da un dibattito iniziato al salone del libro di Torino nel 2009, la seconda è la rielaborazione di un dialogo tra Carofiglio e Gaetano Savatteri al Festival del Diritto di Piacenza del 2008.
Come lo stesso autore ammette il libro non ha alcun intento didascalico ma è soprattutto un gioco sulle e con le parole prese in prestito da autori come Camus, Levi e Bob Dylan.
Le parole diventano, con Carofiglio, i pezzi di un fantastico puzzle, con il quale comporre, scomporre e recuperare antichi significati, riflettere su alcune di esse come : vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta.
Le parole sono il mezzo più potente che abbiamo per esprimere noi stessi e i valori in cui crediamo.
Sono l’arma che qualcuno può utilizzare per dominare i nostri pensieri, per imporci uno stile di vita, per impedirci di pensare con la nostra testa, di diventare muti.
La violenza e la sopraffazione, invece, non hanno parole, si concretizzano nel muto silenzio di un gesto che non sente ragioni.
La parola invece, è il mezzo con il quale il cittadino, fin dalla polis, si esprime favorevole o contrario , si amplifica nella voce e nei gesti ed è simbolo di libertà.
Abbiamo il diritto e il dovere di conservare le parole, di ampliarle, conoscerle e preservarle.
Comunicare sembra oggi essere l’azione vincente; ma siamo sicuri di conoscere il significato delle parole?
Ci esprimiamo con le nostre parole o in un modo standardizzato?
Carofiglio, nella seconda parte del suo libro, sembra interrogarsi sulla funzione comunicativa e si sofferma sul linguaggio tecnico del diritto cercando di fare luce su un gergo che si è sempre di più installato nelle sentenze e nel modo di parlare di giudici e avvocati.
Un modo di esprimersi che allontana sempre di più le persone dalla materia e dalla comprensione.
Il linguaggio della giustizia, come quello della politica, era costituito da parole elementari, appartenenti al linguaggio quotidiano, fin dall’età antica.
Recuperarlo significa abbattere un muro di diffidenza, raggiungere lo scopo della comunicazione: arrivare al maggior numero delle persone.
Il libro diventa un analisi delle abitudini comunicative degli italiani e del modo in cui i media e la politica travisano le parole, le manomettono a favore dei loro scopi.
Una riflessione che si trasforma in una guida utile sull’uso e il potere delle parole.
Carofiglio è capace di mostrarsi inedito ai lettori più accaniti e sorprendente a chi, come me, lo legge per la prima volta.
N.B Francesca Leoneschi è art director per Rizzoli. Il suo lavoro ha rinnovato la realizzazione delle copertine di alcuni tra i libri più venduti in Italia. Tra poco leggerete di lei e del suo lavoro sulla nostra panchina.
Voto: 9 / 10
Articolo a cura della redazione di Reader’s Bench