“Il Lazio si è ritrovato in zona rossa per un tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva leggermente sopra soglia, frutto di un aumento di casi nelle ultime due settimane. Dalle notizie disponibili il nuovo colore pare sia dovuto anche/soprattutto all’Rt maggiore di 1, il che risulta davvero inaccettabile visti tutti i limiti nella stima di Rt.“
A dirlo è Antonello Maruotti, professore ordinario di Statistica alla Lumsa e co-fondatore dello StatGroup-19, panel di ricerca sul Covid costituito da diversi accademici statistici da tutta Italia che già da mesi ha presentato studi per dimostrare quanto l’indice di contagio Rt, nel Lazio arrivato a quota 1.31, non sia affidabile per determinare le misure anti-coronavirus da adottare a livello regionale.
“I punti sono essenzialmente 2, uno più tecnico che riguarda il calcolo di questo indice ormai famosissimo che si chiama “Rt”, ed un altro che riguarda la situazione che noi stiamo vivendo da circa due-tre settimane qui nel Lazio.
Ricordiamo che Rt è un parametro di un modello molto complesso che va stimato. Da statistico la prima cosa che insegno ai ragazzi è che non esiste un modello valido in tutte le occasioni: ogni modello ha senso se sono verificate alcune condizioni.
Ebbene, l’indice Rt per come viene calcolato dalla Fondazione Kessler per conto dell’Istituto Superiore di Sanità ha una serie di buchi dal punto di vista metodologico. Le assunzioni, le condizioni alla base del modello non vengono verificate, questo fa sì che la stima puntuale di Rt non abbia nessun senso“,spiega il professor Maruotti.
“Rt è un indice molto importante in epidemiologia, ci dice l’andamento dell’epidemia. Utilizzarlo per definire i livelli di rischio è del tutto inappropriato, tanto più se sbagliamo a calcolarlo. Questo è il primo punto.
Il secondo punto riguarda l’andamento dell’epidemia nel Lazio. Nelle ultime due-tre settimane non c’è stato un peggioramento così grave rispetto alle due settimane precedenti tali da giustificare un passaggio da giallo a rosso durante questa settimana. Tanto più, abbiamo visto che nel frusinate ci sono stati problemi legati all’epidemia e immediatamente la Regione è intervenuta chiudendo la provincia, che è quello che va fatto in questo momento. Bisognerebbe ragionare a livello provinciale, se non addirittura comunale. Noi ricercatori indipendenti però purtroppo non abbiamo dati a livello provinciale per cui possiamo fare delle analisi statistiche avanzate.
Spero che chi prende le decisioni abbia informazioni più approfondite, anche se il sistema dei colori per le regioni sembra essere quello predominante. Sembra non ci si possa discostare da questo sistema.
Arrivati a un anno dall’inizio dell’epidemia non avere dati che ci consentano di chiudere in modo tempestivo laddove necessario è molto grave. Noi stiamo rincorrendo l’epidemia. L’indice Rt che ora ci porta in zona rossa non è quello di questa settimana: fa riferimento a due settimane fa, a una situazione che noi già abbiamo vissuto perché c’è stato un incremento dei casi nella provincia di Frosinone e anche leggermente in altre province. Quindi noi non interveniamo per mettere un freno a quest’espansione dell’epidemia, infatti noi vedremo che nella prossima settimana gli indicatori scenderanno perché la zona di Frosinone è stata chiusa.
Ci sono molte problematiche statistiche che noi abbiamo pubblicato sul Journal of Medical Virology con alcuni colleghi. Quindi qual è il problema di Rt: loro prendono dei dati, li passano dentro una funzione statistica (un software), si prendono l’output e non verificano se le condizioni per cui Rt può essere validato sono soddisfatte.
Il codice per calcolare l’Rt l’hanno reso disponibile: noi così ci siamo accorti che non poteva funzionare. Ci sono una serie di problematiche che da statistico mi chiedo come non siano state corrette dopo un anno.
Prendere delle decisioni sui livelli di rischio con l’indice Rt è fuorviante, è un uso improprio di uno strumento utilissimo che ci dice come evolve l’epidemia“.