La mannaia sui 40 anni di contributi
L’altro ieri, al termine del vertice di maggioranza presieduto da Silvio Berlusconi, il presidente del Consiglio ha diffuso un comunicato che, dando conto delle decisioni prese circa le correzioni da fare al decreto legge del 13 agosto, per quanto riguarda la previdenza diceva testualmente: «Mantenimento dell’attuale regime già previsto per coloro che abbiano maturato quarant’anni di contributi con esclusione dei periodi relativi al percorso di laurea e al servizio militare che rimangono comunque utili ai fini del calcolo della pensione». Il ministero del Lavoro spiegava che, dal 2012, per andare in pensione d’anzianità a prescindere dall’età anagrafica non sarebbero bastati più 40 anni di contributi comunque realizzati e quindi anche con eventuali riscatti della laurea e del militare, ma sarebbero serviti 40 anni di lavoro effettivo. Gli eventuali anni riscattati conterebbero quindi non più per lasciare prima il lavoro ma solo per avere una pensione più alta. Per chi va in pensione d’anzianità col sistema delle quote (età anagrafica più contributi), precisavano infine al Lavoro, non sarebbe cambiato nulla. Fin qui gli annunci, perché, come dice lo stesso comunicato di Palazzo Chigi, la traduzione dell’intesa politica in norme è affidata agli emendamenti alla manovra che verranno presentati dal relatore di maggioranza, Antonio Azzollini (Pdl), forse questa sera.
Salvi i diritti acquisiti
Ieri mattina è montata però la protesta. Non solo la Cgil e le opposizioni, ma anche la Cisl e la Uil, che ha addirittura minacciato lo sciopero generale. Poi è intervenuto lo stesso Azzollini con una dichiarazione che ha cambiato le prospettive. Il relatore ha infatti annunciato una «norma transitoria» per escludere dalle nuove regole chi ha già presentato la domanda di riscatto. Se così è, a maggior ragione verrebbero esclusi coloro che hanno già riscattato la laurea o il militare. E quindi la stretta si applicherebbe solo a chi volesse riscattare dal 2012 in poi: potrebbe farlo ma ai soli fini di avere una pensione più ricca e non più per raggiungere i 40 anni di contributi e lasciare il lavoro.
E i risparmi previsti?
Se l’emendamento si muoverà in questo senso, salterà però parte dei risparmi annunciati dallo stesso governo l’altro ieri: 500 milioni di euro nel 2013, un miliardo nel 2014 e ancora di più nel 2015. Stime elaborate su una previsione di circa 70-80 mila pensionamenti con 40 anni di contributi grazie a un anno di riscatto del militare più altri 10-11 mila pensionamenti grazie al riscatto del corso di laurea. In pratica, la stretta avrebbe colpito una platea potenziale di circa 90 mila lavoratori, costretti a rinviare il pensionamento di un anno (nel caso del riscatto solo del militare) o di più anni. Se invece venissero salvati i diritti acquisiti, forse resterebbero impigliati nella rete solo una parte di coloro che riscattano il militare. Infatti, essendo questo un accredito di contributi gratuito e non a pagamento come quello del corso di laurea, molti vi ricorrono un minuto prima di presentare la domanda di pensione e quindi verrebbero colpiti da una eventuale norma che stabilisse appunto che da ora in poi si può andare in pensione indipendentemente dall’età solo con 40 anni di lavoro effettivo. Questi lavoratori, in sostanza, dovrebbero rimandare il pensionamento di un anno.
Troppi problemi aperti
Il ripensamento in atto, che farebbe salvi tutti i riscatti già effettuati o in corso, è maturato anche perché ci si è resi conto dei molti problemi che si sarebbero aperti. Se la norma non venisse aggiustata rispetto agli annunci iniziali, ci sarebbero per esempio decine di migliaia di lavoratori coinvolti nelle ristrutturazioni aziendali, attualmente in mobilità , che attendono di andare in pensione anche grazie al riscatto e che rischierebbero di restare senza pensione e senza sussidio nel caso di impossibilità di far valere il corso di laurea o il servizio militare. C’è inoltre la questione dei lavoratori che avevano più di 18 anni di contributi nel 1995 e che vanno in pensione col sistema retributivo che calcola l’assegno fino a un massimo di 40 anni di contributi, i quali non potrebbero giocarsi il riscatto per avere una pensione più alta.
Messaggi contrastanti
Ma c’è anche un’altra considerazione che non può non esser fatta. Negli ultimi anni il governo e l’Inps si sono spesi in una massiccia campagna pro-riscatto, rivolta in particolare ai giovani per convincerli a riscattare subito il periodo di laurea al fine di avere una pensione più ricca. L’iniziativa è stata supportata dalla decisione di agevolare fiscalmente il riscatto, che infatti è pagabile a rate in 10 anni e deducibile dall’imponibile. Tutta questa operazione è stata fatta per vincere ogni diffidenza nei confronti del riscatto (ne vale la pena? Riuscirò davvero ad andare in pensione prima? Avrò un assegno più alto?). Ora questa fiducia, che a fatica si stava cercando di costruire, improvvisamente è stata tradita da un annuncio che ha gettato nel panico tantissimi lavoratori, alcuni dei quali, come i medici riescono, con le norme attuali, a riscattare anche 12 anni, sommando il corso di laurea e quello di specializzazione. Adesso tutto torna in discussione. Ne parleranno questa mattina Sacconi e Calderoli. Sul tavolo potrebbero spuntare altre ipotesi. Tornare in ballo l’accelerazione delle quote per le pensioni di anzianità e l’anticipo dell’aumento dell’età pensionabile delle donne. Se si riapre la discussione, nulla può essere escluso. Ma è forte la volontà anche di chiudere presto e con meno danni possibili una partita che al governo sta procurando solo crescenti proteste.