Non solo cervelli, ma anche capitali: la grande fuga delle nostre risorse verso i paesi esteri continua, ma stavolta la questione non rappresenta necessariamente una novità negativa. Sono infatti sempre più numerose le aziende dello Stivale che decidono di superare i nostri limiti geografici ed economici, per investire in imprese con sede all’estero e per diversificare in modo genuino il proprio portafoglio di investimenti. Parliamo di un trend che ha conosciuto, nel 2016, un vero e proprio boom: sono quasi 550 i miliardi di euro che hanno varcato i nostri confini e che hanno trovato l’estero come meta prediletta. Queste, e tante altre, sono le considerazioni possibili sul processo di internalizzazione delle nostre imprese, testimoniato dai dati diffusi dal Centro Studi ImpresaLavoro.
Quali sono i migliori paesi in cui investire?
I vantaggi dell’internazionalizzazione consentono alle imprese di superare lo stallo economico dei nostri mercati, per puntare ai mercati potenzialmente milionari dei paesi europei ed extra-europei in grande crescita. Ovviamente il tutto a patto che si sappia esattamente dove e come investire. Da questo punto di vista, il consiglio che danno anche portali come Mestiere Impresa è di investire all’estero puntando paesi come Singapore, Hong Kong, Danimarca, Finlandia e Norvegia: da non sottovalutare, poi, soluzioni ever-green come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Australia. In ogni caso, come già anticipato, è importantissimo che l’azienda avvii un’analisi approfondita del mercato estero di riferimento, per valutare la coerenza con il proprio core business e, soprattutto, per misurare la mentalità della popolazione e per evitare di avviare campagne di marketing potenzialmente nocive.
I dati nel dettaglio
Secondo quanto riportato dal Centro Studi ImpresaLavoro, di comune accordo con i dati Bankitalia e Istat, oggi sono più di 30.000 le aziende italiane che hanno scelto di internazionalizzarsi investendo all’estero: parliamo di un fatturato complessivo di oltre 500 miliardi di euro, e di una dislocazione che attualmente dà lavoro a oltre un milione di dipendenti. Ma quali sono i settori che hanno spinto maggiormente questo boom? Innanzitutto il comparto edile, che si è reso protagonista di un aumento pari al +82% negli ultimi 6 anni. Da non sottovalutare, poi, realtà come ad esempio i servizi assicurativi. Infine, è anche il caso di specificare che esistono settori in forte calo a livello di investimenti esteri, come ad esempio quello manifatturiero, sceso di diversi punti percentuali nell’ultimo quadriennio.
Flusso import/export: il bilancino degli investimenti
Quando si parla del flusso di investimenti rivolto verso l’estero, bisogna anche considerare quello in entrata, ovvero le multinazionali straniere che investono sulle nostre imprese e che ne acquistano il pacchetto di controllo. Nonostante esistano casi eclatanti come l’acquisizione della Pirelli da parte della China National, la situazione appare tutt’altro che preoccupante: volendo tirare le somme fra i flussi in entrata e quelli in uscita, sempre considerando i dati forniti da Bankitalia e dall’Istat, il bilancino dimostra di essere non solo in positivo, ma anche in considerevole aumento rispetto al passato. Basti infatti pensare che la crescita di questo valore, oggi, ammonta a circa 140 milioni in più rispetto al decennio scorso.