Un titolo netto sul “Daily Mail”, un quotidiano da due milioni di copie in edicola e da tre milioni di utenti online al giorno: “Piano sostenuto dagli Usa per lanciare un attacco con armi chimiche contro la Siria e dare la colpa al regime di Assad”. Il titolo in questione risale al 29 gennaio 2013. L’edizione online del “Daily Mail” ha pubblicato un’interessante storia – a firma di Louise Boyle – in grado di gettare la giusta luce investigativa sui tragici attacchi col gas verificatisi in Siria sette mesi dopo, ad agosto 2013. Ogni tanto, la grande stampa riporta qualche fatto importante che suona totalmente diverso dal racconto di fondo, ma quando questo avviene è un fuoco di paglia che viene subito estinto. Naturalmente, pochi giorni dopo la pubblicazione, l’articolo era già sparito dagli archivi online del giornale, ma per fortuna non è così facile fare sparire l’informazione da Internet una volta che vi abbia fatto capolino. Pertanto siamo in grado di riproporvi l’articolo ed esporre qui i tratti salienti.
Lo scrittore Roberto Quaglia parla di «”legge delle prime ventiquattr’ore”. Nell’epoca dei mass media, informazioni reali e significative vengono Siria, la strage compiuta con armi chimicheoccasionalmente riferite al pubblico da giornalisti in buona fede durante le prime ore che seguono un evento. Poi, una invisibile catena di comando evidentemente si attiva. E le notizie vere, ma scomode, scompaiono in fretta e per sempre dal proscenio dei media. Solo le notizie comode – non importa se vere o se false – rimangono in circolazione. Per capire il mondo diventa quindi particolarmente interessante soffermarsi proprio sulle notizie soppresse». Anche per il pezzo di Louise Boyle, è così. Fortuna che c’è Webarchive. Il sottotitolo dell’articolo della Boyle recita così: “E-mail trapelate da un fornitore della difesa trattano di armi chimiche dicendo che “l’idea è approvata da Washington”».
Parte il racconto: «Secondo Infowars.com, la e-mail del 25 dicembre è stata inviata dal direttore dell’area di sviluppo degli affari della Britam, David Goulding, al fondatore della società , Philip Doughty. Vi si legge: «Phil … Abbiamo una nuova offerta. Si tratta di nuovo della Siria. I Qatarioti propongono un affare interessante e giuro che l’idea è approvata da Washington. Dovremmo consegnare dell’armamento chimico (“cw” nell’originale, ndt) a Homs, una g-shell di origine sovietica proveniente dalla Libia simile a quelle che Assad dovrebbe avere. Vogliono farci dispiegare il nostro personale ucraino che dovrebbe parlare russo e realizzare una Siria, vittime della guerra scatenata dalle milizie anti-Assadregistrazione video. Francamente, non credo che sia una buona idea, ma le somme proposte sono enormi. Qual è la tua opinione? Cordiali saluti, David».
Come interpretare il messaggio? Nell’articolo si riassume così: «L’e-mail sarebbe stata inviata da un alto ufficiale a un appaltatore della Difesa britannica in merito a un attacco chimico “approvato da Washington” in Siria, da poter attribuire al regime di Assad». Insomma, il classico casus belli da scatenare con un atto spregevole “sotto falsa bandiera”, da attribuire al nemico. Una cosa impensabile per la stampa allineata, ma ben presente ai piani alti della pianificazione bellica. Abbiamo visto ad esempio con quanto candore uno dei frequentatori di questi piani alti, Patrick Lyell Clawson, dichiarava la necessità di un simile pretesto, in quel caso per attaccare l’Iran: «Francamente, penso che sia molto difficile dare inizio ad una crisi. E faccio molta fatica a vedere come il presidente degli Stati Uniti possa davvero portarci in guerra contro l’Iran. Questo mi porta a concludere che se non si troverà un compromesso, il modo tradizionale con cui l’America entra in guerra sarebbe nel miglior interesse degli Stati Uniti». Ossia con un casus belli generato da una provocazione. «Stiamo giocando una partita coperta con gli iraniani, e potremmo anche diventare più cattivi nel farlo», concludeva il falco di Washington.
Non sempre il potere si rivela in un modo così sfrontato ed esplicito. Nell’epoca di Wikileaks e di Edward Snowden, le rivelazioni passano più spesso attraverso canali elettronici e contro il volere del governo. L’articolo del “Daily Mail” precisava che «le e-mail sono state diffuse da un hacker malese che ha anche ottenuto i curricula degli alti dirigenti e le copie dei passaporti attraverso un server aziendale non protetto, secondo quanto riferito da “Cyber War News”». E per far capire quanto i ribelli siriani alleati degli Usa e del Qatar potessero essere spregiudicati (oltre che ben Faisal Maqdad, deliberatamente frainteso dai nostri mediaaddestrati) nell’uso di armi chimiche, l’articolo incorporava anche un video nel quale questi provavano gli effetti delle armi chimiche sui conigli (il video mostra immagini particolarmente crude, attenzione).
È quantomeno curioso, per non dire di peggio, che oggi la grande stampa non ritorni sulla notizia del quotidiano londinese per approfondirla. Invece succede che tutto venga stravolto dai tamburi della propaganda bellica. Le pagine online del 28 e 29 agosto 2013 di tutti i principali quotidiani italiani, ad esempio, titolano che “la Siria minaccia di colpire l’Europa con le armi chimiche”, distorcendo in totale malafede una frase di un politico siriano che diceva tutt’altro. Il viceministro degli esteri Faisal Maqdad criticava infatti i paesi che hanno aiutato «i terroristi» (ossia i ribelli jihadisti) ad usare le armi chimiche in Siria, ammonendo sul fatto che gli stessi gruppi nemici di Damasco «le useranno presto contro il popolo d’Europa». Tradotto: attenta Europa, ti stai allevando da sola le serpi in seno. La frase era correttamente riportata in mezzo all’articolo. Ma il lettore osservi qual è invece la cornice scelta da “La Repubblica” e da “La Stampa” (e tutti gli altri, compreso “Il Fatto Quotidiano”, fanno lo stesso): “Minaccia siriana: gas colpiranno l’Europa”. “Assad minaccia: useremo i gas”.
“La Stampa” attribuisce addirittura la frase ad Assad (giusto per fabbricare l’ennesimo Hitler da strapazzare). Proprio Assad, in un’intervista a un giornale russo ignorata dalle redazioni italiane, due giorni prima dichiarava: «A quei politici vorrei spiegare che il terrorismo non è una carta vincente che si possa estrarre e utilizzare in qualsiasi momento si voglia, per poi riporla in tasca come se niente fosse. Il terrorismo, come uno scorpione, Pino Cabraspuò pungerti inaspettatamente in qualsiasi momento. Non si può essere per il terrorismo in Siria e contro di esso in Mali». Basta poco per capire che i giornali italiani danno una copertura della crisi siriana totalmente manipolata e inattendibile. In Italia è ormai impensabile che un giornalista mainstream possa produrre un articolo controcorrente come quello del “Daily Mail”. Ancora oggi, quel giornale britannico, pur in mezzo a omissioni e distorsioni, in uno dei suoi più recenti articoli manifesta comunque il sospetto fortissimo che l’attacco chimico non sia opera di chi vorrebbero farci credere i governi. A Londra i giornali vogliono ancora vendere qualche copia fra chi non si accontenta della propaganda. Da noi i giornali non fanno nemmeno il minimo sindacale per essere comprati. E il lettore si trova in guerra senza nemmeno sapere perché.
(Pino Cabras, “Syrialeaks, come dare la colpa ad Assad”, da “Megachip” del 29 agosto 2013).