Abbiamo visto come il linguaggio del corpo rappresenti una forma di comunicazione che dobbiamo necessariamente conoscere per riuscire a cogliere quali messaggi extra verbali ci arrivano dal nostro interlocutore, nonché uno strumento da curare, per creare una coerenza tra quello che stiamo dicendo e ciò che stiamo dimostrando.
C’è un aspetto fondamentale, che fa parte del variegato universo del linguaggio del corpo, che oggigiorno rappresenta una qualità sempre più rara e scarsamente disponibile: si tratta dell’ascolto attivo.
Viviamo un momento storico nel quale sempre meno persone riescono ad ascoltare, e soprattutto a farlo in maniera costruttiva. Questo fenomeno si verifica anche a causa del variare, in brevissimo tempo, delle tematiche e delle forme di comunicazione alle quali siamo esposti, poiché siamo portati a soffermarci su un concetto solo per pochi istanti.
Tutto questo ci sta portando ad una progressiva perdita della capacità di attenzione, pilastro sul quale si fonda la competenza legata all’ascolto.
Basti pensare a quanto accade quotidianamente sui social network, dove le diverse tipologie di contenuto si alternano tra loro, portandoci in contesti culturalmente e geograficamente molto lontani tra loro, nel giro di pochi secondi.
Eppure, la qualità sulla quale si costruiscono dei rapporti interpersonali di valore è proprio l’ascolto.
Una delle principali esigenze umane, infatti, è quella di essere ascoltati e capiti, e il miglior modo per comprendere qualcuno è senza dubbio quello di ascoltarlo attentamente.
Parafrasando Catone il Censore, che diceva come Leggere e non capire è come non leggere, potremmo dire che ascoltare senza comprendere equivale a non aver ascoltato.
Ma quando la comprensione interessa la sfera personale del nostro interlocutore, allora in quel caso non si tratta semplicemente di “capire qualcosa”, come potrebbe trattarsi per una nozione scolastica, ma è qualcosa di decisamente più profondo, che in quel contesto rischia di minare gli equilibri interpersonali che stiamo cercando di costruire.
È per questo che dovremmo capire e applicare ogni giorno un ascolto che sia il quanto più possibile attento e attivo.
Si tratta di una situazione sempre più frequente nel nostro quotidiano e che può essere declinata in varie forme: una di queste è quella di sentire senza ascoltare, non avendo, quindi, un rapporto binario nel quale a seguito della ricezione di un impulso, il nostro interlocutore ci restituisce un suo riscontro a riguardo.
Ce n’è poi un’altra, sempre più frequente, che vede il nostro interlocutore ascoltare solo per controbattere.
Di questa ultima accezione, Stephen Covey, autore del libro I sette pilastri del successo scrive che Molte persone ascoltano per rispondere e non per capire, ed è proprio ciò che accade sempre più di frequente.
Sarà capitato sicuramente anche a te di ricevere una domanda da qualcuno che poi abbia ricominciato a parlare interrompendo la tua risposta. Questo comportamento, oltre che manifestare una grave mancanza di rispetto e di considerazione, dimostra che il nostro interlocutore non ha voglia di ascoltare cosa abbiamo da dire per accoglierlo, ma solo per controbattere.
C’è però da specificare che l’uomo è un essere programmato più per parlare che per ascoltare: basti pensare che riusciamo ad udire dalle 125 alle 250 parole al minuto, mentre riusciamo a pensare un volume decisamente maggiore di informazioni, che va dalle 1000 alle 3000 parole al minuto.
In questi numeri si cela la naturale propensione umana verso la parola a discapito dell’ascolto: tutto ciò accade perché ascoltare richiede un impegno fisico e mentale decisamente maggiore.
Di tutto quello che si riesce ad ascoltare, poi, è possibile ricordare solo una piccola parte, pari al 20%, perché nel 75% del tempo trascorso all’interno di una conversazione si è distratti, preoccupati o semplicemente disattenti.
Ad oggi meno del 2% delle persone ha ricevuto un’educazione all’ascolto, motivo per il quale questa tendenza è destinata ad aumentare nel tempo, se tutti noi non comprendiamo appieno la fondamentale importanza di questa qualità.
Eppure, si tratta di una skill universalmente riconosciuta come basilare, soprattutto nel mondo del lavoro: il 35% dei professionisti e dei business manager ritiene, infatti, che l’ascolto sia uno degli strumenti più importanti per avere realmente successo.
È necessario, quindi, invertire la rotta, e dedicare tempo ed energie sempre maggiori alla formazione, per riuscire a sviluppare questa importane qualità.
Per farlo ci sono alcuni accorgimenti che dobbiamo sempre tenere a mente.
Il primo è senza dubbio quello di sospendere tutte le supposizioni durante una chiacchierata: quando ascoltiamo qualcuno dobbiamo tassativamente evitare di dare giudizi affrettati, mantenendo la nostra proiezione interiore verso la conoscenza delle idee del nostro interlocutore.
Dobbiamo sottrarci all’istinto di creare dei pareri frettolosi perché questi edificherebbero una barriera invisibile tra noi e chi c’è di fronte.
È importante anche evitare di pensare ad una risposta prima che l’interlocutore smetta di parlare: attendere la fine del suo intervento ci fornirà tutti gli elementi per poter formulare un pensiero pieno attorno a quanto ascoltato.
Se, invece, ci basassimo solo su una parte di ciò che sta dicendo, rischieremmo di essere parziali e incompleti.
Il terzo e ultimo accorgimento è quello di mettere a tacere la nostra voce interiore, per riuscire ad ascoltare davvero il nostro interlocutore.
A volte diamo retta ad una voce interna che gestisce il flusso delle nostre idee e non prestiamo l’attenzione dovuta a chi abbiamo davanti, riducendo così la percentuale di nozioni che rimangono dentro di noi.
Ascoltare è un segno di rispetto e come tale fa sentire l’altro valorizzato: tutti vogliamo essere ascoltati, perché ci fa sentire apprezzati.
Dobbiamo pensare che nella costruzione di un percorso di miglioramento volto alla costruzione della nostra felicità, apprezzare e essere apprezzati sono fattori chiave, perché l’apprezzamento stimola le emozioni.
Quando abbiamo la capacità di generare emozioni positive in chi condivide del tempo con noi, di fatto gettiamo le basi perché anche dentro di noi possano germogliare le stesse sensazioni positive. Non solo: se si vogliono creare dei rapporti profondi con le persone che ci circondano, avere la capacità di ascoltarle e di apprezzarle farà in modo che le relazioni possano evolvere nel migliore dei modi con grande naturalezza.
C’è da rompere la credenza sbagliata che l’ascolto sia un atto passivo: niente di più sbagliato.
Mentre sentire è un processo fisico, naturale e passivo, ascoltare è un processo fisico, mentale e attivo.
Ascoltare richiede energia, premura e attenzione, tre ingredienti fondamentali per costruire rapporti sani e duraturi con chi ci sta a cuore.
Il più grande regalo che si può fare ad una persona è ascoltarla, perché ascoltarla significa farla sentire valorizzata e dimostra tutto l’interesse nei suoi confronti.
Molti anni fa lessi su un libro che il motivo per il quale Dio ci ha creato con due occhi, due orecchie e una bocca, è perché potessimo parlare di meno ma ascoltare e guardare di più.
E due di questi tre elementi sono chiamati in causa quando ci mettiamo in ascolto.
L’ascolto attivo, infatti, coinvolge gli occhi, le orecchie ed il cuore.
Quando si ascolta realmente si è emotivamente coinvolti, e non potrebbe essere diversamente: non si presta attenzione solo alle parole pronunciate, ma si osserva l’altro, si legge il suo linguaggio del corpo e si riesce così ad intuire ciò che sta pensando.
Le persone ricevono e recepiscono gli stimoli che giungono dal mondo esterno attraverso i cinque sensi, e proprio attraverso i sensi elaborano internamente le informazioni.
Le modalità sensoriali con le quali gli esseri umani codificano, organizzano e danno significato alle esperienze si chiamano sistemi rappresentazionali.
Ognuno di noi, anche se inconsciamente, ha un canale che predilige e che utilizza con frequenza nel suo registro verbale.
Se si ascoltano attentamente le persone si potranno notare che queste si dividono in tre grandi gruppi, che utilizzano diversi sistemi rappresentazionali.
Il primo è quello delle persone visive, che utilizzano frasi come vedi, guarda, punto di vista, per come la vedo, si vede che, tutte forme che stanno a sottolineare come la vista sia ciò che ha un impatto maggiore nell’equilibrio tra i vari sensi.
Poi ci sono le persone uditive, che utilizzano frasi del tipo come ti suona?, È musica per le mie orecchie, me lo sento, è solo un sussurro, sono fuori tempo, perché si percepiscono come l’aspetto uditivo rappresenti un fattore centrale.
Ci sono, infine, i cenestesici, che impiegano frasi come tocchiamo con mano, contattiamo, diamo una botta, è caldo, è un pesce freddo, non mi sento all’altezza, le cui forme rappresentano come la percezione arrivi dalle sensazioni ricevute dagli organi interni di chi le pronuncia.
Quando parliamo, chiamiamo in causa un insieme di sensi, ed è compito di chi ascolta saperli cogliere per poter rispondere a tono.
Comprendendo davvero il punto di vista di chi parla, è possibile rispondere in modo adeguato anche nel caso si abbia a che fare con qualcuno molto diverso da noi.
Bisogna sempre cercare di stabilire un rapporto e dimostrare di saper ascoltare, oltre a saper adattare il linguaggio a quello dell’altra persona.
Se anche tu pensi che l’ascolto attivo sia un aspetto necessario della nostra vita, e ritieni che ricercare un cambiamento volto al miglioramento sia un processo necessario per ciascuno di noi, ti invito a partecipare, lunedì 22 aprile a Latina, al nuovo incontro dell’Academy “Comunicazione Vincente”, l’innovativo percorso di formazione che ho studiato per aiutate tutti coloro che vogliono acquisire nuove competenze utili al miglioramento della loro vita.
Abbracciando il cambiamento, abbracci la tua vera identità, perché non siamo definiti dalle circostanze, ma da come si reagisce ad essi. Ogni cambiamento è un’opportunità per riscoprire e riaffermare chi siamo, e nel cambiamento troviamo la libertà di essere la versione migliore di noi stessi.
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