Il “Giro di Peppe” era la nostra via Veneto, negli anni della “Dolce Vita”. La Latina di allora era una città giovane, piena di gioventù, che passeggiava intorno a un isolato facendo prove di comunità. Dopo cinquant’anni quel “Giro” rinasce, ma cambia strada e nome, diventa “la via dei pub”.
Passeggio per il centro, ma avverto l’assenza di quegli odori che mi hanno accompagnato sin dall’infanzia. Quelli dolci della pasticceria Figini, e quelli dei fritti della rosticceria Benedetti. Provo a chiudere gli occhi: in un attimo sono al “giro di Peppe”, così veniva chiamato a Latina, negli anni ’60, l’unico struscio che allora offriva la città. Io bambino e la mano forte di mio papà che salutava tutti, ed erano tanti. Non ho mai saputo chi diede, e perché, il nome a quell’isolato.
Iniziava tutto nel tardo pomeriggio, per poi finire all’orario di cena. I punti cardinali della passeggiata erano quattro: bar Mimì, bar Jolly, bar Di Russo e bar Poeta. In primavera, il percorso si allungava fino ai giardinetti, vicino al tennis club, passando davanti al chiosco mobile dei gelati, “il Polo Nord”. Si vedevano gruppi di ragazzi e ragazze incrociarsi, per poi incontrarsi di nuovo al giro successivo. Era un rituale; i ragazzi lanciavano occhiate alle ragazze che, se interessate, rispondevano al messaggio con un sorriso o con un ammiccamento. La domenica tutti sfoggiavano l’abito più bello e quelli meglio vestiti camminavano davanti, mentre gli amici abbigliati più modestamente, per non sfigurare, li seguivano.
Il “giro” era frequentato da tutti i ceti sociali, quelli delle case popolari, quelli del Villaggio Trieste, i figli della Latina un po’ più agiata e i figli degli impiegati statali, che erano quasi tutti studenti universitari e che già si spacciavano per avvocati, commercialisti etc. Loro per darsi un tono, e per far vedere che avevano disponibilità economiche, si fermavano fuori al “Mimì”. Nei bar, pochi potevano permettersi di entrare e consumare, la scarsa disponibilità delle tasche non lo consentiva. Per le donne invece, entrarci non accompagnate era considerato sconveniente. Solo i ragazzi fidanzati in casa, potevano girare tranquillamente mano nella mano e magari entrare anche nei bar per prendersi un caffè, senza che le ragazze fossero giudicate.
Il momento migliore per l’approccio, dopo un lungo inverno fatto di sguardi e di qualche breve scambio di parole, era l’inizio della primavera, perché il “giro” si allungava e i giardinetti pubblici erano il luogo più adatto per staccarsi dai vari gruppi, con la complicità di amici e amiche, cercando intimità sulle varie panchine disseminate un po’ ovunque. Quelle più nascoste erano le più gettonate. Tutti questi gruppi però, mantenevano le distanze tra loro a parte qualche eccezione, e una di queste era un ragazzo; Francesco Porzi attore e fotomodello, da tutti conosciuto con il soprannome di “Biscotto”. Alto un metro e novanta, occhi verdi, vestito sempre alla moda, di una bellezza disarmante. Lui era solito frequentare tutti e quattro i bar del “giro” e di tanto in tanto si concedeva la passeggiata per intero, accompagnato sempre dai suoi amici d’infanzia. Si fermava con tutti e riusciva con il suo carisma a far stringere amicizie ai ragazzi dei diversi ceti sociali. Insomma era stato tra i primi, senza rendersene conto, a fare lezioni di comunità.
Cerco di immaginare quell’epoca e provo sempre le stesse emozioni; mi sembra di vederli e ascoltarli tutti quei giovani degli anni sessanta. Figure in bianco e nero che mi scorrono davanti agli occhi. Immagino “Biscotto” con la sua ineguagliabile eleganza, che passeggia avvolto nel suo lungo cappotto scuro, e uno stuolo di amici lo accompagna, tra gli sguardi affascinati di donne innamorate e trasognanti. Sfortunatamente morì molto giovane, in un tragico incidente stradale e i ragazzi di allora persero un punto di riferimento importante, ma presto lo consegnarono alla leggenda della città. La vita della gioventù latinense era quella, e tutti avevano stampato negli occhi la speranza di un futuro migliore, i tempi permettevano ancora di sognarlo. D’altronde il boom economico, iniziato nella seconda metà degli anni cinquanta, non era ancora terminato.
Una nuova epoca: la via dei pub
A metà degli anni ’90 il Giro di Peppe iniziò a svuotarsi, i giovani preferirono passeggiare nei nascenti centri commerciali. Ormai sono passati tanti anni, e nel centro, a poche centinaia di metri da quel “giro”, c’è un nuovo struscio, è la via dei pub. Una zona dove due aziende hanno fatto la storia della città, Porfiri e Galanti.
La sera i ragazzi s’incontrano, fanno prove di comunità come cinquant’anni fa. È innegabile che un nuovo “Giro di Peppe” stia rinascendo. Certo non c’è un trascinatore simbolo come “Biscotto”, ma c’è il mio amico Massimo Ceccarini, che è il presidente dell’associazione dei Pub “l’isola che non c’è”. Lui ce la sta mettendo tutta e non è cosa di poco conto, in una città ancora in cerca di identità: “daje Emi’ che ce la faremo” mi dice ogni volta che mi incontra, e io: “certo Max che ce la faremo, ce la dovemo fa’ per forza” e lui: “io ‘na bottiglia ce l’ho già in fresco, per l’occasione” “bravo Max! Io allora vojo esse ottimista, stappala subito che c’ho la gola secca” lui ride.
“Intanto sogno di leggere, negli occhi di questi giovani, la stessa speranza dei ragazzi di allora” mi dice serio. Nel frattempo passano due belle donne, e facciamo entrambi un ammiccamento… hai visto mai.
(credit testo “giro di Peppe” alla “via dei pub” – Emilio Andreoli)