Per ricevere i vaccini Covid bisogna firmare un modulo esprimendo il proprio libero consenso informato. Dunque come si può privare della possibilità di lavorare una persona che quel consenso non vuole darlo? E’ uno dei punti salienti dell’ordinanza con la quale un giudice del Tribunale Civile di Firenze la scorsa settimana ha riammesso al lavoro una psicologa non vaccinata.
Le considerazioni sul consenso – alcune delle tante riportate nell’ordinanza – costituiscono una robusta picconata non solo all’obbligo vaccinale per i sanitari, ma soprattutto all’intero impianto del green pass, almeno per quello che riguarda la necessità di esibirlo per entrare al lavoro. Gli over 50, privati dell’alternativa costituita dal tampone, hanno subito questo obbligo per molti mesi.
L’ordinanza del giudice di Firenze si inserisce nel mutato vento giuridico sui vaccini Covid che ha cominciato a spirare quando un’infermiera di Viterbo è stata reintegrata al lavoro con il solo tampone. Poi, fra l’altro, il TAR del Lazio si è pronunciato sul reintegro dello stipendio e il TAR Sicilia ha rinviato alla Corte Costituzionale l’obbligo vaccinale per sanitari.
Il giudice di Firenze non si è limitato ad evidenziare il controsenso costituito da un consenso – quello alla vaccinazione – che non è obbligatorio ma che è indispensabile per lavorare. Ha fatto anche notare che non è possibile prestare alcun consenso informato alla vaccinazione Covid, dal momento che meccanismi di funzionamento ed ingredienti sono coperti da segreto. E per il resto, ha ridotto a brandelli la narrativa dominante sui vaccini.
Nell’ordinanza ha rilevato infatti che la legge impone ai sanitari la vaccinazione Covid “per impedire la malattia”: ma i vaccini non impediscono il dilagare del contagio e anzi i malati gravi e i morti “sono prevalenti” nelle persone che hanno ricevuto tre dosi. In più – ha scritto in sostanza il giudice – non si può neanche dire che il vaccino non faccia né bene né male, dal momento che verificano morti ed eventi avversi anche gravi. Ha definito infine i vaccini “sieri sperimentali talmente invasivi da insinuarsi nel suo [della psicologa] DNA […] con effetti ad oggi non prevedibili per la sua vita e per la sua salute”.
Quella emessa dal giudice di Firenze non è ancora una sentenza, ma un’ordinanza che blocca l’efficacia dell’atto con il quale l’Ordine degli Psicologi ha sospeso la psicologa non vaccinata. Il giudice ha preso questa decisione perché in attesa del processo e della sentenza vera e propria la psicologa, impossibilitata a lavorare, avrebbe subito un danno grave ed irreversibile.
Il processo, durante il quale l’Ordine degli Psicologi potrà cercare di convincere il tribunale di aver invece agito correttamente, comincerà il 15 settembre. Ci sarà da divertirsi.
GIULIA BURGAZZI