Sono trascorsi 11 anni dal decesso di una 70enne di Latina nata a Monte San Biagio morta e nel 2008 per cirrosi epatica da epatite C contratta a seguito di trasfusioni di sangue infetto del 1974 presso l’ospedale di Velletri.
Il Tribunale di Latina con sentenza n. 39 del 14 gennaio ha condannato il Ministero della Salute a pagare agli eredi l’assegno una tantum di circa 77.500,00 euro previsto dalla legge n. 210/1992 promulgata appositamente per indennizzare i soggetti danneggiati dallo Scandalo del Sague infetto.
I tre giovani figli della donna hanno già ottenuto un primo e più ampio risarcimento di circa 1milione e 300mila euro dal Tribunale di Roma per i danni da loro subiti per l’uccisione della loro congiunta.
Nonostante le ingenti somme già risarcite e quella di 77.500,00 euro che dovrà essere indennizzata dal ministero della Salute nulla potrà mai compensare ai tre figli dalla perdita della loro madre fra atroci sofferenze negli anni precedenti alla morte del 2008.
La donna aveva tentato inutilmente negli ultimi anni di vita una lotta contro il tempo per salvarsi sperando nella commercializzazione del farmaco salva-vita capace di eradicare il virus dell’epatite C. Purtroppo solo nel 2013 a cinque anni dalla morte della 70enne pontina il costosissimo farmaco Sofosbuvir-Sovaldi (la cura comprendeva cicli per circa 70-80.000 euro) divenne accessibile in Italia per i malati di epatite C con costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
L’avvocato Renato Mattarelli a cui la povera donna aveva affidato l’incarico di iniziare la causa contro il Ministero della Salute ha dovuto sospendere l’attività giudiziaria dopo il decesso della 70enne per poi riassumerlo in favore dei tre figli della donna.
Quello che sorprende è che in uno stato di diritto, non solo il Ministero della Salute non ha vigilato sulle donazioni e trasfusioni di sangue del 1974 che hanno ucciso la donna pontina, ma soprattutto, che il farmaco che avrebbe potuto salvarle la vita costava così tanto che la 70enne non poteva permettersi. Come d’altra parte sorprende che la salvezza o meno dei malati di epatite C, ed in particolare quelli post-trasfusionali, debbano la loro salvezza ai tempi della burocrazia che ha reso accessibile il farmaco dal marzo 2013.