Le ipotesi di reato raccontano di spericolate operazioni societarie: abusivismo bancario, false fatturazioni e bancarotta fraudolenta. Ma la storia che la procura di Roma ha ricostruito è quella di due imprenditori col pallino dei giornali, protagonisti di una serie impressionante di operazioni editoriali fallimentari. Inventori del primo free press sportivo italiano, promotori del primo quotidiano di sondaggi, interessati all’Unità poi nuovi proprietari del giornale dell’Udeur di Mastella, Gian Gaetano e Fabio Caso, padre e figlio, secondo molte testimonianze sono anche impegnati nella nuova vita del quotidiano dedicato alla squadra di calcio prima in classifica: Il Romanista. Ieri la Guardia di Finanza gli ha arrestati a Roma.
Il nucleo di polizia valutaria delle fiamme gialle ha lavorato mesi sulle società dei Caso, la Hopit spa, Nettel spa, Editoriale Dieci, Ghenda srl, Caso editori, Giornali associati e Segem spa. Una galassia con ramificazioni in Nicaragua della quale faceva parte anche una banca, la Kuban Bank Rappresentanza che però non ha nulla a che vedere con la più nota banca russa ma avrebbe esercitato attività di credito andando oltre le autorizzazioni ricevute. I pm romani Giuseppe Cascini e Andrea Mosca hanno ricostruito la rete di questa attività abusiva individuando una raccolta di risparmio per oltre 130 milioni di euro, 90 milioni di euro di abusive attività fideiussorie, sei aumenti di capitale fittizzi per un valore di oltre 80 milioni di euro. Insieme ai Caso sono stati arrestati Carlo Bassoli, Corrado Di Matteo, Roberto Lupi, Michele Meloni e Maurizio Micozzi, attualmente presidente della cooperativa editrice del Romanista.
Anche il consigliere della Federazione degli editori Alberto Donati, già editore del Corriere dell’Umbria, risulta coinvolto nell’indagine: la Guardia di Finanza ha perquisito la sua abitazione alla ricerca di documenti che riguardano la vita del quotidiano Dieci. Si tratta del primo tentativo di free press sportivo, nato per iniziativa dei Caso nel 2007 con la direzione di Ivan Zazzeroni e chiuso dopo alcuni mesi di vita tra le proteste dei giornalisti che non avevano ricevuto lo stipendio, licenziati al primo sciopero. In precedenza il tentativo di riaprire Il Globo, quotidiano fondato nel ’45 da Luigi Barzini jr, era finito per la denuncia del legittimo titolare della testata. Successivamente, nel 2008, l’allora presidente del gruppo editoriale dell’Unità , Marialina Marcucci, aveva parlato di un interessamento dei Caso per il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, gli editori attraverso la Hopit (la società al centro dell’inchiesta chiusa ieri) erano pronti a mettere sul tavolo 4 milioni di euro, ma l’affare sfumò.
È di pochi mesi fa, novembre 2009, la penultima puntata della saga, catastrofica anche questa perché Il Clandestino, nato da un’intesa tra i Caso e i fratelli Luigi e Ambrogio Crespi, ha cessato le pubblicazioni a metà marzo dopo aver perso tre direttori in quattro mesi. A dicembre Fabio Caso aveva portato a segno la mossa che avrebbe dovuto mettere il giornale in sicurezza, l’acquisizione dall’Udeur di Clemente Mastella della testata Il Campanile, ex giornale di partito e dunque titolare del finanziamento pubblico. Ma nessun beneficio ne è venuto ai giornalisti: i Crespi hanno mollato dopo due mesi, dice Luigi «per aver riscontrato una serie di irregolarità contabili», il finanziamento pubblico non è arrivato perché il giornale ha cessato le pubblicazioni, Caso però secondo Crespi avrebbe fatto in tempo a stornare a suo vantaggio il residuo di cassa del Campanile, tanto che in redazione circolava la battuta: è riuscito a fregare anche Mastella. Andati via i fratelli sondaggisti, Caso avrebbe cercato di tenere in piedi ancora un po’ il giornale promettendo, è la testimonianza di chi lavorava allora al Clandestino, di portare tutti al Romanista.
Al Romanista invece assicurano che Caso si occupa solo della pubblicità per il quotidiano. La società è una coop a maggioranza di giornalisti (il presidente, abbiamo detto, è uno degli arrestati di ieri), come tale titolare del finanziamento pubblico. «Le vicende dei Caso – ha detto il segretario dell’Associazione stampa romana Paolo Butturini – dimostrano quanto ci sia bisogno di fare pulizia tra le testate che ricevono i contributi pubblici, salvaguardando le vere cooperative».
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