Giovanni Stirpe confessa davanti al magistrato
Una citta’ ancora sconvolta dopo il delitto di Luciano Stirpe, 51 anni, ucciso con inaudita violenza dal fratello minore Giovanni di 46 anni. Un citta’ che s’interroga per l’ennesimo episodio di violenza. Nessun dubbio sul movente. I soldi, le proprieta’, l’eredita’. Litigi che andavano avanti da tempo. Addirittura una denuncia per calunnia di Luciano nei confronti di Giovanni. Alla fine il tragico epilogo con Giovanni che prima accoltella e poi si accanisce con un’ascia sul fratello a pochi metri dalla caserma dei carabinieri. Giovanni o Gianni come tutti lo chiamavano non ne poteva piu’. “Ero esaperato, minacciato, ho cercato sempre di pensare alla mia vita, lavoro onestamente, non ne potevo piu’ di essere vessato da quello li’…” Cosi’ davanti la magistrato Giusepep Bontempo e ai carabinieri Giovanni Stirpe ha confessato e raccontato il perche’ di un delitto. C’era da dividere l’eridita’, e’ vero, ma Luciano voleva far fuori Giovanni e lo minacciava stando al racconto dell’omicida. “Io volevo stare lontano da mio fratello, non volevo nulla a che fare….volevo solo quello che mi spettava e basta..” Una storia che si trascinava da tempo. Davanti agli inquirenti Giovanni Stirpe ha raccontato la sua storia, calmo, preciso, coscente. Ora si trova rinchiuso nel carcere di Aspromonte a Latina. A confermare i rapporti tesi tra i due fratelli anche l’avv. Pasquale Cardillo Cupo a lungo difensore della vittima. “In paese tutti sapevano che la situazione era ormai esplosiva. Del resto le denunce si erano succedute in questo periodo” ha ricordato il legale. La vittima era comunque personaggio noto alle forze dell’ordine. Finito in diverse inchieste per droga ed usura. Tempo fa la questura aveva chiesto e ottenuto dal tribunale di Latina il sequestro dei beni, circa un milione di euro tra case, terreni conti correnti, moto, auto tra cui una Ferrari. Troppo alto il tenore di vita per un uomo che dichiarava di fare l’operaio, il raccoglitore di pigne. Il sequestro fu poi annullato dalla Corte d’Appello. Ora resta la rabbia e il dolore dei familiari. Lazio Tv